top of page

Benetti, Marisa

Pittrice italiana, XX - XXI sec.

Notizie biografiche

 

Marisa Benetti, nata Chellini a Siena. 
Dal padre pittore, Umberto Chellini, eredita la passione per la pittura, ma di formazione è autodidatta sia nell'arte pittorica sia nell'arte grafica. 

 

MOSTRE E CENTRI D'ARTE

 

Con le sue opere Marisa Benetti collabora con diversi Centri d'Arte

Milano

A Milano da piu' di vent'anni e' stata impegnata con opere di pittura e grafica per i seguenti editori:
Mondadori, Rizzoli, Ricordi, La Spirale, Torcular, Istituto Grafico Italiano, ...

Roma

A Roma ha lavorato per il Centro Fondazione Artisti e per la SelfArt.

Venezia

A Venezia ha inciso lastre all'acquaforte per il Centro Internazionale delle Grafica.

Foggia

Dal 1997 lavora con dipinti ad olio si tela anche per Arte Dimensione Edizioni di Foggia.

Le sue mostre personali sono state allestite in molte citta' italiane e straniere.

 

COLLETTIVE

 

  • 1965 Concorsi di Pittura, Napoli

  • 1966 Concorso Internazionale di Pittura, Roma

  • 1971 Rassegna Internazionale di Pittura, Genova

  • 1971 Mostra di Pittura, Brindisi

  • 1971 Rassegna d'Arte Contemporanea, Madrid

  • 1972 Rassegna d'Arte Contemporanea, Atene

  • 1973 Rassegna di Pittura e d'Arte Grafica Italiana Contemporaned, Londra

  • 1974 Mostra al "Salon International de l'Art libre", Parigi

  • 1979 Mostra di Grafica, Norimberga

  • 1980 Mostra di Grafica, Rovigo

  • 1980 Mostra di Grafica, Padova

  • 1981 Mostra di Incisioni all'acquaforte, Erlangen (Germania)

  • 1982 Mostra di disegni, incisioni, e litografie, Milano

  • 1984 Mostra di Pittura e Grafica, Pavia

  • 1984 Mostra di Pittura e Grafica, Roma

  • 1985 Rassegna di Grafica, Parigi

  • 1988 Mostra di Pittura e Grafica, Tokio

  • 1989 Mostra di Pittura e Grafica, Milano

  • dal 1990 ad ora e' presente all'Arte Fiera di Bologna, Roma,Padova, Pordenone, Vicenza, Milano

 

PERSONALI

 

  • 1971 Mostra di Pittura, Valdagno

  • 1975 Mostra di incisioni all'acquaforte alla "Bottega Santi", casa di Raffaello, Urbino

  • 1979 Mostra di incisioni all'acquaforte, Hersbruck (Germania)

  • 1979 Mostra di incisioni all'acquaforte, Vicenza

  • 1980 Mostra di Grafica, Padova

  • 1981 Mostra di Grafica, Valdagno

  • 1981 Mostra di Grafica, Erlangen (Germania)

  • 1982 Mostra di Grafica, Magenta

  • 1982 Mostra di incisioni all'acquaforte, Venezia

  • 1983 Mostra di Grafica, Rovigo

  • 1983 Mostra di Grafica, Reggio Emilia

  • 1984 Mostra di Grafica, Venezia

  • 1992 Mostra di Grafica, Bassano del Grappa

  • 1997 Mostra di Pittura, Salone Teatro Super, Valdagno

  • 1998 Mostra di acqueforti e chine, Dugni (Parigi)

  • 1999 Mostra di dipinti su tela, Foggia

  • 1999 Dipinti su tela, Artefiera di Udine

  • 1999 Dipinti su tela, Artefiera di Massa Carrara

  • 1999 Dipinti su tela personale, Galleria Nuovo Segno, Forli'

  • 1999 Dipinti su tela, Galleria Grazia Arte, Bitonto

  • 2000 Dipinti su tela, Bari Expo

  • 2001 Due Mostre collettive con dipinti su tela, Francia

 

Marisa Benetti si ispira alla natura come fonte inesauribile di emozioni, per una composizione di memoria e di fantasia. 
La sua pittura è lirica e tende a registrare una musicalità interiore. Il suo stile figurativo, post-impressionista, coglie nella realtà tutto quello che è eccitante, con una mobilità di luci e di ombre, una freschezza di forme e di colori che sono lo specchio di un'armonia interiore che vibra di fronte all'armonia del creato e al suo miracoloso rinnovarsi. 
Anche quando la rappresentazione si fa analitica, minuziosamente descrittiva, come avviene talvolta nei disegni e nelle acqueforti, l'artista non ci dà mai una riproduzione fotografica della realtà, ma una personalissima interpretazione. 
L'immagine, infatti, per un frantumarsi della materia, nell'impulso emotivo, istintivo e frenetico di cogliere la realtà, diventa un'immagine mentale, rarefatta, quasi metafisica. 
Fin dalle sue prime mostre, i disegni a china, acquarellati o no, hanno riscosso il successo della critica:" L'artista predilige immagini di natura che la trasparenza fa essere leggere come pensieri..." "...Marisa Benetti scrive armoniosamente fiori, felci, cardi, piante sottili e delicate e ne derivano piccoli mondi in tumulto, oppure serene immagini di spazi, di luce, distensivi e rassicuranti..., un gioco intelligente, pensieroso, talvolta complesso e pieno di misteri...". 
"Marisa Benetti usa la matita e la penna con agilità sorprendente e, nello stesso tempo, spontanea". " Parrebbe impossibile raggiungere tecnicamente certe forme espressive, in cui il segno diventa pulviscolo, impalpabile sfumatura che scorre sulle cose, accarezzandole per dircele nella loro più fedele e felice immediatezza...". 
Dal disegno all'acquaforte per la Benetti, il passo è stato inevitabile. Le sue incisioni sono apparse subito preziose all'occhio esperto della critica: dal prof. Paolo Bellini, dell'Università Cattolica di Milano, al critico prof. Enzo Di Martino del Centro Internazionale della grafica di Venezia, dal prof. Francesco Carnevali,presidente dell'Accademia Raffaello di Urbino ai critici professori Salvatore Fazia e Giuliano Menato... 
Tutte le incisioni della Benetti vengono eseguite scrupolosamente a casa dall'artista, iniziando dal taglio della lastra di zinco alla pulitura a specchio della medesima, subito dopo verniciata a cera e affumicata. Si passa quindi all'incisione sulla cera usando un punteruolo dalla punta sottile come un ago da ricamo; quindi si procede alle numerose "morsure" nell'acido nitrico, fino alla pulitura della lastra, alle eventuali correzioni e alla stampa degli esemplari numerati e firmati in carta pregiata dalla stessa autrice. 

 

DALLA CRITICA D'ARTE 
di Michel Berche'

 

La collocazione di un artista in un certo spazio e in un certo tempo è strettamente legata alla sua storia personale che fa inevitabilmente riferimento alla cultura in cui l'artista si è formato ed è cresciuto. La Toscana e il riferimento principale di Benetti.
Le opere di Benetti sono opere "compiute", rifinite, non hanno quasi nulla del "bozzetto" che per molti fu considerato l'idea prima e anche definitiva di coloro che usavano la macchia e quasi la lasciavano incompiuta nello stesso momento in cui la consideravano definitivamente conclusa. Quindi si tratta semmai - per Benetti - di un "lavoro" intorno alle macchie, colto nel suo divenire, ancora incerto nelle forme, quasi che l'opera fosse solo il primo abbozzo di un 'idea ancora in fase di chiarificazione mentale e successivamente pittorica. 
Nell'opera di Benetti la macchia è solo uno dei momenti particolari iniziali di cui si compone il dipinto, che talvolta pare abbozzo solo per la libertà con cui segno e colore si concludono in libertà spaziale in un rapporto tra le tinte e i rari chiaroscuri, che assume il valore di opera conclusa a causa della stessa rigorosa spigliatezza cromatica con cui era stata cominciata. Nel suo caso la macchia è risolta nel tutto della visione -per cui la macchia cessa di esser tale - che unifica ideazione ed esecuzione, e che nel senso crociano potremmo dire che unifica intuizione ed espressione. Opere che hanno lafreschezza del bozzetto e contemporaneamente la compiutezza dell 'opera finita.
Entrava in gioco il rapporto luce-ombra, che era stato oggetto per secoli di varie interpretazioni, un limpido gioco di stesure pure e rigorosamente contrapposte, rapporto partecipe di un modo nuovo di dipingere che al chiaroscuro sostituisse la luminosità uscita dal frangersi più libero dei toni per delineare con apparente semplicità le strutture essenziali dei soggetti trattati.
Le luci piene dei primi Maestri ci offrivano atmosfere di realistiche visioni colte con la freschezza di chi sa di dover offrire la visione palpitante di un vero a portata di mano, non recuperato dai libri o dalla memoria.
Sono passati tanti decenni e l'espressionismo è vissuto di piccole e grandi presenze, non tutte eccellenti, anche se la critica giornalistica tende erroneamente a definire come tale tutta l 'opera degli artisti anagraficamente venuti dopo, senza tener conto delle infinite e varie tendenze che nel frattempo hanno caratterizzato - anche in senso innovativo - questi sei sette decenni di pittura toscana. 
Marisa Benetti si inserisce con un suo personale atteggiamento di ricerca e di riscoperta in questo filone toscano e lo fa non tanto attraverso l'improvvisa illuminazione di uno scenario pittorico legato ad una intuizione "dì avvio", ma attraverso l'esecuzione precisa di un "tutto " realizzato in un tempo lungo che vive di piani precisi di colore che sembrano ignorare il disegno preparatorio e realizzano le demarcazioni usando le contrapposizioni delle masse coloristiche. Infatti il rosso di un campo di papaveri irrompe nettamente nel fogliame verde del primo piano, isolandolo e definendolo, mentre in alto la linea orizzontale taglia decisamente il connubio terra-cielo nel rispetto di una tridimensionalità a cui la Benetti vuole rimanere fedele.
Ha sempre mirato a tradurre le emozioni direttamente in colore, accentuando perfino la lucidità e i timbri dei toni studiati e risolti con immediatezza, traendo dalla visione reale il nucleo più vistoso e porgendolo con una specie di entusiasmo cromatico ai limiti della realtà più accesa, intendo dire rendendo il reale più reale, e venendo così a proporci forme così sapientemente arricchite di una loro fissità irreale da sfiorare l'irrealtà di una natura diversa. Il suo fascino deriva, quindi, non tanto dalla piacevolezza quanto dal tasso di misteriosità che pure è racchiusa in queste tele solo apparentemente di facile lettura. Altro apparentamento con la pittura dei vecchi maestri toscani che lo hanno preceduto deriva dalla mancanza di quell'arido intellettualismo che già fu evitato in quella famosa stagione a favore di una apparente e folgorante brevità intuitiva e di una immediata stesura cromatica capaci di folgorare un paesaggio o una marina: e anche l'equilibrio compositivo che caratterizza le posizioni degli oggetti, le misure, le distanze, rientra in un istinto naturale, in un talento di base, più che in un razionale piano di studi intorno alle distribuzioni spaziali. E anche le prospettive obbediscono in Benetti ad una specie di arcana gradualità coloristica che all'impennata del primo piano fa seguire scansioni nitide di macchie intense e funzionali al gioco dell'allontanamento prospettico, talvolta accendendo un colore timbrico che pare voler affermarsi come "colore a sé stante", disgiunto dagli altri, e capace di creare da sé solo l'atmosfera dominante del dipinto. È in quel momento che la pittura della Benetti pare farsi meno "tonale" perché sembra che gli effetti plastici e spaziali siano compromessi dalla dominanza di un unico colore primario, mentre poi l'equilibrio coloristico del dipinto è ricostruito dal gioco alterno delle luci e delle ombre senza bisogno di chiaroscuri e contorni scolasticamente definiti.
Benetti è una narratrice di episodi naturali entro cui penetra con la sensibilità di un poeta per trarne effetti non visibili in superficie, quasi una natura morta contenesse per lei un suo segreto e un paesaggio gli si presentasse come uno spazio partecipe delle "storie" dei tanti passati che lo hanno occupato o delle memorie del proprio naturale silenzio.
Se il "vero" contiene già in se una bellezza "di natura", Benetti interviene per tradurla in bellezza estetica e ce la offre con la semplicità di chi sa di non averfatto altro che riconsegnarla arricchita alla mente e al gusto degli uomini. La nostra pittrice sta dando una svolta al suo lavoro non tradendo nulla della sua fedeltà alla figurazione, ma ponendosi in una nuova posizione per controllare meglio gli spazi e per accentuare aspetti particolari della visione. Cioè, ella continua la tessitura meticolosa di un'esperienza ormai lunga ma che aveva bisogno di un minore adeguamento alla bellezza delle cose naturali o meglio di una maggiore carica di trasgressività linguistica nella sua rappresentazione: è per questo motivo che ora stiamo assistendo ad un approfondimento del processo creativo che apre prospettive nuove di più responsabile professionalità. Cosa caratterizzava in passato la pittura di Benetti? Ella stessa confessava di "voler scrivere " col pennello aspetti di vita semplice, anche per raccontarla serenamente - questa vita - e nemmeno pensando alla carica di irreale segretezza che inconsciamente si nascondeva nella luminosità di un fiore di campo o in un girasole di una campagna.
In tal modo però Benetti rimaneva fedele solo alla reminiscenza dei valori della sua terra toscana nello stesso momento in cui voleva travalicarla per soluzioni che si staccassero dalla nostalgia tenera ma stanca e ripetitiva di tanti colleghi. Non cambiava l'intento di impossessarsene - di questa terra - ma mutavano le modalità di resa, l'ampliamento sonoro e luministico della visione quasi cresceva in "autenticità " pur rifacendosi ad una indiscussa autenticità naturale. Per decenni Benetti ha pagato il suo scotto alla tradizione nobile della sua Toscana, ma il suo successo derivò proprio da quel segno di novità che ella introdusse nella sua descrizione del vero: era il brivido emotivo per qualcosa che la toccava personalmente e che si introduceva - come nota formale innovativa.
Nascevano le "ninfee " che illeggiadrivano (ma con tristezza) il verde laghetto o erano i "giaggioli" che dominavano il centro di una rasserenante visione quelli che uscivano vivi da un loro letargo di memoria e che l'urgenza narrativa della pittrice richiamava ad una loro essenziale presenza pittorica. E così nascevano le sue tele, tra immersioni in una realtà di per sé lumino sa e un immaginario che interveniva per tentare la resurrezione di un reale di per sé anche monotono e perduto nel mare trascurato di una natura non sufficientemente guardata e amata. Vi era dentro alle sue tele - e seguita a rimanervi - un alto tasso di limpidità morale che pare trarre dal sogno e dalla poesia, più che dagli aspetti naturalistici, una sua trasognata magia.
Quando l'artista guarda la natura sa bene di non poterla offrire nitida ed esatta, anche perché essa si pone come oggetto di riproducibilità perfetta forse solo tramite la macchina fotografica: allora scatta l'urgenza di tramutarla in emozione che rappresenta l'attimo creativo più importante che porta all'esecuzione dell'opera. La scena naturale fine a se stessa muore nell 'attimo del suo ricrearsi irrealmente tramite il pennello, per cui i particolari si annullano lentamente come elementi reali e si smarriscono felicemente nell'atmosfera di un nuovo "insieme" che raccorda in una nuova misuraforme e significati. Solo così si possono spiegare i risultati di un 'operazione artistica di cui avvertiamo i tratti distintivi di differenziazione e arricchimento in confronto ad un passato a cui Benetti non poteva solo fare riferimento contenutistico ma da cui doveva distinguersi per autonomia e per inevitabile mutamento stilistico. 
Il suo "reale " è un dato ineliminabile per la sua cultura pittorica, ma è un reale da guardarsi con sguardo nuovo, con incentivi problematici per i quali pittare non si fa solo contemplatore naturalistico ma polemico difensore di una linea artistica che deve andare al di là dell 'effimero e della banalità contemplativa.
Oltre a questo non si può evitare di ricordare che tanta pittura di Benetti pare estraniarsi intenzionalmente dal fracasso assordante e spesso cinico della odierna realtà sociale e artistica - così terrìbilmente schizofrenica sulle tele di tanti contemporanei -in nome di una speranza di salvezza visiva ma anche esistenziale e umana: Pare che Benetti voglia liberare cose e paesaggi dalla loro banale ma anche tragica quotidianità per irrorarli di un sapore metafìsico che nell'incanto attui il miracolo di una riappacifìcazione con l'uomo: ecco il senso del suo messaggio amicale rivolto alle cose del mondo e anche agli uomini, indipendentemente dal fatto che essi appaiono raramente nei suoi paesaggi. Ma l'uomo c'è, il suo respiro è vagante quasi che - invisibile - dirigesse il volgersi delle albe e dei tramonti, sempre diversi per loro stessa natura e, quindi, sempre diversi come realizzazioni dell' artista.
E così sulle tele passa la storia delle stagioni che s 'incendiano o s 'incupiscono a seconda delle ore e anche in rapporto alle attese dell 'artista, ora pronta a cogliere la felicità di una luce (a cui corrisponde la felicità dell 'impasto) e ora restia e disincantata nell' afferrare il senso giusto dell'esistere. Ogni momento è idoneo a concludere un abbozzo, magari lavorandovi sopra, ma facendolo rimanere tale proprio per evitare un eccesso di decorazione o di verosimiglianza, specie quando l 'opera che nasce en plein air torna nello studio per l'ultimo ritocco. 
// giudizio sulla pittura di Marisa Benetti è estremamente semplice e lineare: si tratta di una pittura che di fronte alla Realtà assume un ruolo di rivisitazione e trasformazione senza nulla cedere al naturalismo di maniera e senza lasciarsi irretire nelle lusinghe facili di una esteriore riproducibilità. La storia della pittura è sempre storia di apporti personali alle precedenti forme di oggettualità. Il processo artistico si è differenziato nel tempo in rapporto al modo come gli artisti lo hanno vissuto e risolto alla luce della urgente variabilità dei linguaggi, sempre diffidenti dei confronti con i modelli desueti. E vero che ogni processo non è sempre un progresso (i manierismi, per esempio, sono ritorni negativi), ma il superamento dell 'accademismo è di per sé sempre un elemento di positività. Perfino la "macchia " ottocentesca, considerata un gesto screanzato e inutile nei confronti di una pittura di studio seria e armonica, fu elevata a dignità creativa solo quando ne fu colta V interpretazione circa i valori luministici che andavano ben oltre il particolare effetto singolo e particolare per concludersi in una visione che - al pari di quella degli Impressionisti francesi - metteva a soqquadro i modi logici precedenti di porsi davanti al mondo, anche se è da quei "modi " che dovevano svilupparsi altri nuovi germi di altri nuovi linguaggi.
Marisa Benettisi rese conto fin dall'inizio che non era sufficiente vivere il suo rapporto con la natura e i suoi vari aspetti sullo slancio di una grande spontaneità descrittiva, ma che doveva inventarsi una sua grammatica narrativa che potesse fare a meno della precisione analitica per poter cogliere l'ampiezza di una visione che doveva salvare le architetture del "vero" ma doveva anche mutare il gioco cromatico e le distribuzioni spaziali. Di fronte ai vari dilemmi Marisa Benetti avrebbe potuto rivolgersi ad una cupa problematizzazione della realtà rapportata di continuo alla storia dell 'uomo e alle sue insidie di violenza e di disperazione esistenziale, e allora avrebbe dovuto chiudersi nella diversità di un astrattismo cerebrale tutto nuovo per lei, oppure avrebbe potuto restare sul terreno della figurazione iperrealista per non cadere nel bozzettismo di maniera o nell'incanto superficiale di una neutra verosimiglianza: ma questa fu la sua scelta. Colse del mondo la freschezza, vi aggiunse il senso compositivo inventato proprio per ridonarlo ad una natura che rispondeva a regole e architetture non certamente umane e che andava ricondotta a più umane sembianze; colse il modo giusto per calibrare la ricerca sulle gamme calde e impetuose di uno scenario amato.
Si andava delineando in Benetti il bisogno di lasciare copertà l'intensità metafisica delle visioni, lasciando vibrare in esse le inquietudini della storia, intendo le vicissitudini e le insicurezze che pur rimangono inespresse entro una realtà che non è solo idillio: mi sembra che le ultimissime tele segnino un distacco notevole - mentale ed esecutivo - con la precedente pittura, un distacco che non rinnega nulla, ma continua e approfondisce la partecipazione agli spettacoli del mondo, quasi per filtrarli con una razionalità ed emotività e per tentare una diversa proiezione e divulgazione.

 

da: www.marisabenetti.com

Please reload

bottom of page