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Berto, Gianpaolo

Pittore italiano, XX - XXi sec.

Biografia

 

Adria 1940

 

Gian Paolo Berto è nato e cresciuto nel circoscritto ma fervente ambiente artistico adriese del dopoguerra dove, a parte il genio isolato e non ancora riscoperto dell'anglosassone Foster, un nuovo clima culturale si andava formando accanto alle figure di Scarpari, Reali, Rizzi, Palmieri, Gioli. Poi a Rovigo è a studio con Prudenziato e Breseghello e in amicizia con Gabbris Ferrari. L'incontro con i maestri Zancanaro e Levi è folgorante e costituisce il trampolino di lancio di questo eclettico artista nel mondo della pittura contemporanea italiana. Pur essendo stato tra i pochissimi ammessi allo studio di De Chirico (ma anche di Guttuso e Picasso), e aver esposto in prestigiose gallerie e musei, Berto si è sempre esentato dall'apparire nelle vetrine del grande mercato dell'arte, prediligendo il contatto, in chiave anti-elitaria, con le cerchie di pubblico più genuino: allievi, gente semplice, artisti e intellettuali che conducono la propria ricerca con rigore a autonomia rispetto a mode e correnti. Ciò non significa che la sua pittura sia avulsa dal contesto dell'arte contemporanea. Anzi, la caratteristica appropriazione del pittore della realtà che lo circonda e alle forme in evoluzione della pittura, in Berto è esplicita e, come spesso accade nell'arte, vaticinatoria. È noto infatti il debito contratto dalla Pop americana nei confronti di quella europea: un fronte che a suo tempo trovava un Berto attento e operativo e poi, nei decenni a seguire, pronto a cogliere le fioriture delle successive frontiere dell'arte.

 

L’OPERA

 

L’artista, che oggi insegna tecnica dell’incisione all’Accademia di Belle Arti di Roma, ha esordito nel 1956, a soli quindici anni, con la prima personale tenutasi nella “Piccola galleria del Polesine” di Livio Rizzi a Rovigo, con dipinti di drammatico realismo. Conoscerà poi l’insegnamento e l’affinità di molti maestri, traendo dal flusso della vita e della storia dell’arte veri e propri “segni ritrovati”, che riutilizzerà all’interno della propria opera, rendendone palesemente riconoscibile la matrice. E’ un modo operativo di derivazione Dada e Pop, ma certamente non estraneo all’arte di ogni tempo e luogo, basti pensare alla pittura vascolare greca, alle icone bizantine o alle Madonne del Bellini. 

Infatti il vissuto del pittore, come grande conquista novecentesca, si riversa nel presente della tela sintetizzando esperienza e memoria nell’attualità dell’intuizione di un opera unica ed eclettica. Nell’arte di Gian Paolo Berto vi è perciò ogni volta un autoritratto, un cosmo, che è frutto di una costante ricerca introspettiva, dove spesso compaiono serie iconologiche, come quella della Madre, del Figlio e dell’Errante, in cui la mitologia personale dell’autore viene a coincidere con gli archetipi storici e universali dell’umanità. Il motore di tale “furibondo e ostinato amore per la pittura”, come ebbe a dire di lui Guttuso, risiede nel suo “appassionato desiderio di definire figurativamente i sentimenti” e nella sua religiosa ricerca di verità nella vita e nell’arte, realtà di cui non si fa distinzione.

Non ci si dovrà stupire quindi se la produzione dell’artista veda, accanto all’incisione e alla classica pittura di paesaggio ad olio su tavola o su tela, figurare un’esplosione di acrilici, collages, assemblaggi, appropriazioni, creati con materiali di recupero e vario merchandising, in un puro spirito di ricerca, nel senso di una sintesi dell’intera esperienza figurativa del Novecento. Ma, nella pittura di Berto, la libertà del segno plastico, netto, e costruttivo, l’operare sia con i colori primari che con trasparenze ceruleee, con formati, tecniche e materiali tradizionali e nuovissimi, con simboli e storie antiche e moderne, consente all’autore di toccare ogni corda dell’animo umano, e di arrivare così ad ognuno. 

Le mistiche entelechie, le fulgide e maestose Venezie, le più recenti colte in gotici notturni, il diafano lirismo del paesaggio polesano, gli “Erranti” che navigano verso l’ignoto, metafora della condizione umana, lo sguardo del fanciullo, Alessandro, fisso sulla “madre cosmica” J.B., sono raffigurazioni generate dalla visione interiore dell’artista che si confrontano con l’ironia “neocubofuturista” di “Redi Made”, delle installazioni e degli assemblaggi e degli oggetti ritrovati, anch’essi composti ad arte con la stessa perizia e conoscenza tramandata dagli antichi. 

La pittura di Berto si dimostra infatti sorvegliatissima, colta e ispirata, al di là dell’apparente facilità e immediatezza che consegna al fruitore più livelli di lettura: nulla è lasciato al caso in questi microcosmi dove la classicità incontra il contemporaneo e in cui tutto intrinsecamente tende alla corrispondenza tra numero, forma e armonia.

 

da: www.gianpaoloberto.com

 

Gian Paolo Berto è nato a Adria nel 1940 e ha iniziato a dipingere come autodidatta in giovanissima età, a soli sedici anni ha tenuto la sua prima mostra nella Piccola galleria del Polesine a Rovigo. In quella occasione, Tono Zancanaro e Carlo Levi apprezzano le opere del giovane artista. E poco più tardi sarà proprio Levi, riferimento imprescindibile e costante, ad accogliere Berto nel suo studio romano stabilendo con lui un rapporto profondo durato tutta la vita. Zancanaro, dal canto suo, introdurrà il giovane nel mondo della grafica, sollecitandolo a una «poetica di intrecci, contaminazioni, velature, segni che rimandano da un archetipo all’altro e da un’intuizione all’altra, in un processo di conoscenza». Titolare della cattedra di incisione e decano dei docenti all’Accademia di Belle Arti di Roma e artista di fama internazionale, Berto è un vero e proprio vulcano, pronto a sconvolgere abitudini e tempi organizzati, con gli estri e le piroette di uno che non si contenta della ingombra solitudine di un atelier, ma in ogni momento della sua giornata, tra acciacchi veri o solamente paventati, chiacchiere di pittura e filosofia, telefonate chilometriche a notte alta, entusiasmi e malinconie, slanci e ripensamenti, esercita una maieutica che è anche arte di una memoria infallibile con il vezzo dell’imprecisione. E tutto questo, va da sé, lo si ritrova in una selva variegatissima di opere lungimiranti e straordinariamente composite, in cui la memoria e il genius loci (continuo e inevitabile il rimando alle acque del Polesine e ai canali di Venezia) svaporano nel sogno. Sogno vacillante di una società più giusta e sogno di amori perduti e impossibili, ma anche sogno che si apre a un vero e proprio andirivieni di maestri, da Tono Zancanaro e Carlo Levi a Guttuso e Picasso e De Chirico, che, a saper guardare oltre le immagini, è un nume tutelare. 

 

da: www.accademiatpo.it

 

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