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Di Fabrizio, Antonio

Pittore italiano, XX - XXI sec.

Biografia:

Nato a Penne nel 1933 e morto a Pescara nel 2012

Antonio Di Fabrizio è nato a Penne e vissuto a Pescara, dove negli anni Settanta fondò insieme ad altri coraggiosi insegnanti l’Istituto Statale d’Arte “Vincenzo Bellisario” con indirizzi di studio: stampa, fotografia e grafica pubblicitaria. In questa scuola ha insegnato ininterrottamente fino al 1994, anno del suo pensionamento.

L’artista e docente in pensione era afflitto da un grave problema cardiaco: una caduta accidentale, con la conseguente rottura del femore ha in pochi giorni peggiorato il suo stato di salute, fino alla morte improvvisa e inattesa. Sono state le due figlie, Antonella e Paola (la moglie era scomparsa quattro anni prima) a dare la notizia ai numerosi amici che Antonio Di Fabrizio aveva in tutta Pescara, in tutto l’Abruzzo, in tutta l’Italia. Diplomatosi nel 1954 nell’Istituto d’arte di Firenze, Di Fabrizio insegnò materie plastiche negli istituti d’arte di Isernia e Chieti, per poi approdare al neo istituto di via Vittoria Colonna a Pescara insieme ad Aldo Laurenti, Gino Di Paolo, Giancarlo Di Donato, Gianfranco Abelardo, Fabio Ubaldi e tanti altri pionieri, quell’istituto d’arte Vincenzo Bellisario (molti si chiesero del perchè un istituto professionale d’arte non era stato intitolato a un grande artista, ma a un deputato lancianese esponente della Sinistra democristiana) ora diventato MiBe dopo l’unione con il liceo artistico Giuseppe Misticoni.

Tantissimi i premi prestigiosi, le mostre e le partecipazioni in collettive importanti dell’artista pennese. La sua opera si collocò dagli anni Settanta in maniera indipendente rispetto alla Scuola Romana e ai Postcubisti, optando subito per le poetiche iperrealistiche, fortemente sostenute da quell’uso della fotografia che si andava sempre più affermando come nuovo mezzo artistico per “leggere” il mondo. Per poi tornare

alla dolcezza intimista tra gli anni Ottanta e Novanta. La sua ultima mostra, Omaggio a Di Fabrizio, venne organizzata dalla Pro loco di Ripattoni nell’agosto 2010.

da: Il Centro Edizione di Pescara ( http://ilcentro.gelocal.it/ )

 

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Rivista Madonna dello Splendore n° 22 del 22 Aprile 2003

Antonio Di Fabrizio

di Marialuisa De Santis

 

 

La fattura preziosa e delicata si sposa ad una pittura “eminentemente mentale; pittura di memoria e di trasfigurazione onirica” (1), lontana da ogni soluzione sbrigativa o dilettantistica, cosa che caratterizza e si rende facilmente riconoscibile in tutta l’opera di Di Fabrizio.

La sua Madonna dello Splendore suggerisce atmosfere ed armonie rinascimentali ma nello stesso tempo è espressione precisa della contemporaneità: desiderio, aspirazione ad una perduta armonia pacificante che passa attraverso le lacerazioni psicologiche, ideologiche, religiose e di valori del nostro secolo. Alla Madonna Di Fabrizio ricorre come all’icona che funge da tramite con la realtà superiore di Dio, armonia e compostezza mai infranta dalla caducità e vanità umane.

Antonio Di Fabrizio è nato a Penne nel 1933. Ha concluso i suoi studi a Firenze presso  il Magistero d’Arte di Porta Romana. E’ stato docente di Discipline Pittoriche negli Istituti d’Arte di Isernia, Chieti e Pescara dove attualmente vive.

La sua “carriera espositiva” inizia nel 1953 con la partecipazione al Premio Avezzano; già nel 1959 ottiene il prestigioso e gratificante riconoscimento dell’ammissione di un suo dipinto alla VII Quadriennale d’Arte di Roma. Da questo momento la sua carriera si dipana costante in selezionate mostre, personali e collettive, che suscitano l’attenzione e l’apprezzamento degli storici d’arte più accreditati come Enrico Crispolti, Mario De Micheli, Giorgio Di Genova, Rossana Bossaglia, Domenico Guzzi, Renato Barilli e tanti altri.

Giorgio Di Genova nella sua Storia dell’Arte del ‘900 (2) lo accomuna al giuliese Gigino Falconi come rappresentante di una ben definita “figurazione abruzzese” e lo stesso fa Enrico Crispolti in La Pittura in Italia (3).

 

Scrive Crispolti: “Negli abruzzesi Di Fabrizio e Falconi si sviluppa un’attenzione (nel primo maggiormente psicologica) di commento al quotidiano d’una società borghese un po’ irreale nel suo livello di acquisita opulenza, nei modi di un figurare elegantemente illustrativo”.

Per l’omaggio tributatogli dalla sua città natale nel 1992, il Comitato organizzatore affidò al Professor Renato Barilli, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Bologna, il compito di analizzare la sua opera. E Barilli sottolineò la coerenza di un pittore che da sempre, per motivata scelta, è stato un figurativo, sensibile alla ricerca di nuovi linguaggi e attento alle più innovative correnti, ma capace di trasformare i suggerimenti che ne derivavano in una personale e riconoscibilissima resa pittorica, frequentando egli “ simili territori con discrezione, con mano leggera”. (4)

La lettura più vera di Antonio Di Fabrizio resta, anche a distanza di anni, quella autorevole di Mario De Micheli, storico e critico dell’arte con il pregio assai raro di un  non criptico linguaggio. Proprio per la  chiarezza ritengo opportuno riportare quasi integralmente questo suo testo.

Una pittura precisa, definita, frutto di una circostanziata coscienza del mestiere, in odio a qualsiasi soluzione sbrigativa; questa è la prima impressione che si riceve guardando i  quadri di Antonio Di Fabrizio. Ma che cosa sta dietro una simile pittura? Non sembra che in essa ci sia trepidazione o fervore, evidente comunicazione di sentimenti. Le immagini sono enunciate sulla tela come per una sorta di esercizio intellettuale, che esclude l’emozione diretta, l’effusione, l’enfasi. Eppure i temi che egli sceglie e dipinge, i suoi giardini sul mare o davanti agli alberi di un bosco, le sue ragazze sull’erba, accanto a specchi d’acqua e fontane, non dovrebbero indicare impassibilità e indifferenza. Che senso ha dunque questa pittura e quale significato hanno dunque queste immagini?

Sono le domande che mi sono poste qualche mese fa, nello studio pescarese di Antonio Di Fabrizio, davanti ai suoi quadri. Uno dopo l’altro, li guardavo, e la loro luce ferma e uguale, mi colpiva per qualcosa di innaturale che vi andavo scoprendo, una specie di incantato stupore. Il verde era vivo, l’azzurro intenso, le vesti delle ragazze trasparenti, i loro volti luminosi, ma tutta la scena, al tempo stesso, m’appariva remota, come separata dal presente.

E’ forse questo il nucleo poetico che vive nelle immagini di Di Fabrizio? Dalle prime domande, mi sgorgavano quindi altre domande. Perché quella luce d’assenza nelle sue opere? Perché tanta dolcezza e bellezza nei volti, nei gesti delle sue ragazze, ma come se fossero al di là di un diaframma invisibile?

Non è possibile capire il lavoro di un artista se non se ne penetra la sostanza dell’ispirazione: solo a questa condizione è possibile quindi rendesi conto anche dei suoi procedimenti, delle sue scelte tecniche, dei suoi modi, di tutto ciò insomma che costituisce la base del suo linguaggio. Ecco: è chiaro, almeno per me, che le immagini di Di Fabrizio nascono da un’intima esigenza di salvaguardare quei valori d’integrità che sono la dote più preziosa della nostra condizione umana, valori oggi più che mai minacciati e violati. Le sue immagini, le immagini dei suoi quadri, non sono che le metafore di questa sua intima esigenza: Mettere questi valori al riparo di ogni deturpante violenza: questo ne è il vero significato, l’intenzione di fondo. Metafore, traslati, allegorie: in tale senso si devono interpretare dunque le sue bellissime fanciulle, le sue dolci ragazze, in piedi o sdraiate sui prati; e così vanno pure interpretati i sereni giardini, i boschi che le circondano: un mondo salvato dalla nostra storia, dalla cronaca brutale dei nostri giorni. Questo mondo poetico, Di Fabrizio lo dipinge con amorosa pazienza, con gelosa perizia, con la qualità contemplativa della sua natura sensibile che reclama la salvezza di ciò che ama. Ma dove salvare oggi ciò che si ama se non in un mondo separato dal mondo in cui viviamo?

Ancora una domanda dunque. Desiderio e nostalgia: desiderio di uno spazio non avvelenato, intatto, limpido, sereno; nostalgia non per il passato, ma per un futuro dove sia possibile vivere con integrità. Le immagini di Di Fabrizio si collocano in questo spazio, in questo futuro.

Ne sono, appunto, il segno poetico. Non dunque impassibilità e indifferenza esiste nei suoi quadri, bensì una tensione intellettuale che si muta in visione, la visione appunto di una natura “innaturale”, cioè sottratta alla natura offesa in cui siamo costretti a muoverci. Non dunque assenza di fervore o astratta separazione, ma pungente, acuta aspirazione ad una possibile felicità dipinta come un miraggio. (5)

Il colore preminente nelle tele di Di Fabrizio è il verde: appare quasi gioco forza legarlo a concetti di kandiskiana memoria: il verde è, tra i colori il più quieto, perché unisce in sé la natura terrestre del giallo e quella spirituale del blu, ricomponendo, in un certo senso, l’unità cosmica: vagheggiamento di pace, armoniosa espressione di speranza.

Il Ragveda evocando la totalità del mondo si riferisce al cielo, all’acqua e alla terra, elementi che, colorati di verde e di azzurro, appaiono sempre nella pittura di Di Fabrizio.

L’acqua, essenziale per la vita è cosoante nell’immaginario collettivo, religioso e non. Essa è generatrice, sorgente di forme di energia creativa, spesso collegata a poteri divini.

Il cielo è il principio cosmico direttamente complementare alla terra, produce e nutre tutti gli esseri viventi fecondandola con i suoi umori acquei. Rappresenta la coscienza e una dimensione superiore a quella sensuale e terrena. L’elemento terra in Di Fabrizio è sempre “fecondato”. E’ un giardino, un Eden a cui cerca disperatamente di ritornare: un luogo in cui l’azione ordinatrice dell’uomo sulla natura e della ragione sulle pulsioni inconsce si mostra rispettosa e non arbitraria. Il suo Eden pur apparendo uno spazio “sacro”, una dimensione iniziatica e distinta dalla realtà quotidiana, non si presenta come un hortus conclusus ma solo come uno spazio “a misura d’uomo”, finalizzato all’esercizio dell’otium e all’elevazione dell’anima. Nella sua ultima pittura la città, scenario del commercio e del lavoro, esclusione della “lentezza” come paradigma di vita, appare lontana e dimenticata, proprio nella dolorosa consapevolezza della sua scomparsa come manifestazione armonica delle virtù civili e politiche,frutto dell’umanesimo: quello che dipinge è ciò che vorrebbe vedere e non ciò che vede.

Ultima riflessione sui quadri di Di Fabrizio: le stagioni in cui vivono i suoi quadri sono, non a caso, la primavera e l’estate. Anche questo fatto sottende dei significati. Bandire l’inverno è bandire la stagione della morte e dell’oscurità, privilegiare la primavera è privilegiare la rinascita della natura ( e cristianamente, non è difficile aggiungere, la redenzione umana). L’estate poi è la stagione in cui maturano i frutti della terra e si raccoglie ciò che di positivo si è seminato. E’ anche la stagione in cui prorompe il giallo, che Di Fabrizio però stempera nel verde. Anche la sua estate non è accecante ma appare purificata da ogni eccesso meteorologico, in una rappresentazione soprattutto mentale.

In occasione della sua mostra personale intitolata “L’Eden ritrovato”, tenutasi a Giulianova nella Sala “ G.Trevisan” della Piccola Opera Charitas, nell’estate del 2001, intervistai Antonio Di Fabrizio e lui mi parlò della pittura come mezzo per rivivere l’armonia della natura oggi insidiata quando non già irrimediabilmente offesa dall’incoscienza dell’uomo. L’intervista finiva con una riflessione che spiega Di Fabrizio, oltre che come pittore, anche come uomo, limpido e fermo come i suoi quadri: “ Io dipingo così, è la mia natura. Colore e armonia sono le cose che la mia natura mi porta a ricercare. A proposito di “ Eden ritrovato “, devo dire che nella mostra di Giulianova appaiono ben tre quadri con questo stesso titolo, dipinti in un arco di tempo di venti anni. Ma molti miei quadri fanno pensare all’Eden. L’Eden qui sulla terra non c’è più, ma all’Eden aspiro. Sulla tela si può ancora sognare e questo è il privilegio del pittore”. (6)

(1)   Carlo Fabrizio Carli,  Antonio Di Fabrizio, Giulianova, Centro Culturale San Francesco, 2001

(2)   Giorgio Di Genova, Storia dell’Arte Italiana del ‘900, Bologna, Ediz. Bora, 2000

(3)   Enrico Crispolti, Il Novecento, vol.III, Milano, Electa, 2000

(4)   Omaggio ad Antonio Di Fabrizio,città di Penne, 1993

(5)   Mario De Micheli , Antonio Di Fabrizio,

(6)   Marialuisa De Santis, Intervista a Antonio Di Fabrizio, in Piccola Opera Charitas Notizie, anno I, n. 2, 2001.

 

da: www.madonnadellosplendore.eu

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